martedì 26 marzo 2013

IL VENTO GIUSTO ARRIVA SEMPRE...

Tutte le domeniche c’era un uomo sul ponte. Non ne ricordo il viso né la figura, ma solo le  mani: mani magre, con dita lunghe e nodose, mani che si muovevano abili e veloci, con piccoli scatti e rotazioni del polso, mani magiche come quelle di un prestigiatore per i miei occhi di bambina. L’uomo muoveva fili quasi invisibili a cui erano attaccati decine di aquiloni colorati che dal ponte sul fiume andavano su a scalare il cielo in fila indiana, talmente in alto che gli ultimi erano soltanto puntini colorati nel cielo.  Era come un lungo cobra che muoveva il suo corpo sinuoso ondeggiando nel vento e danzando al ritmo di un flauto incantatore.
Illustrazione: Jimmy Lawlor  - As the mind wanders
Uno scatto a destra, due scatti a sinistra, l’uomo dava spago piano piano per mandarli più in alto possibile, poi riavvolgeva veloce, gli aquiloni scendevano, salivano, si incrociavano senza mai toccarsi, disegnavano figure nel cielo, volteggiavano come acrobati e danzavano assecondando gli scatti del polso dell’uomo. Ogni movimento era sottolineato da un coro di oooooooohhhhhhhh di tutti noi bambini che  seguivamo dal ponte quelle evoluzioni con le bocche spalancate come vedessimo volare chissà quali creature fantastiche. Mia mamma mi aveva comprato un aquilone dal venditore e ne ero molto orgogliosa: era azzurro e rosa con una lunga coda di tutti i colori. A volte andavamo sulla spiaggia nelle belle domeniche di primavera, mi mettevo in un punto dove non ci fosse gente intorno e restavo lì in piedi,tenendo alto l’aquilone con una mano e  con l’altra il gomitolo del filo,  pronta a captare il giusto refolo di vento che lo facesse alzare, poi cominciavo a dare spago, mollare, tirare, correndo a perdifiato sulla spiaggia.  A volte l’aquilone si alzava e pareva decollare ma subito  piombava a terra con ampi cerchi concentrici  ed erano attimi di disperazione. Occorreva riavvolgere il gomitolo e riprovare ma, prima o poi, il vento giusto arrivava sempre e rimanevo a guardarlo volteggiare per un tempo interminabile con il naso all’insù e col sole in faccia  che mi faceva strizzare gli occhi. Quante volte avrei voluto prendere il volo aggrappata a quell’aquilone, perdermi nel cielo fino a toccare le nuvole e guardando giù salutare con la mano tutte le persone che diventavano puntini sempre più piccoli sulla spiaggia. Però  poi ad ogni strattone sussultavo e puntavo i piedi a terra per la paura di volare via. Quando non c’è vento vorresti volare ma quando il vento arriva hai paura di dove ti spingerà. Un giorno l’aquilone è finito su un albero e si è rotto. E’ caduto giù in picchiata, improvvisamente, mentre mi affannavo inutilmente a correre a destra e sinista per fargli riprendere quota. Ho tentato di ripararlo ma era tutto strappato e non ha più volato. L’uomo degli aquiloni ha cominciato a non venire più tutte le domeniche, si vedeva raramente ormai, aveva pochi aquiloni, giusto due o tre che oscillavano stancamente dal ponte. I bambini non si fermavano più a guardarli troppo presi dalla nuova sala dei videogame che aveva aperto in centro. I tempi stavano cambiando e non sempre i cambiamenti portano cose migliori, ma non si può far altro che accettarli. 
Cambiamenti…
Illustrazione: Jimmy Lawlor
Molte cose sono cambiate da allora, altre sono rimaste uguali. Passeggio sul molo avvolta da un manto di pioggia. Qualche pescatore accompagna i miei passi. La loro calma sembra così inconsueta, i gesti sono lenti e misurati, mentre tutto intorno sembra essere divorato dal frastuono, dove tutti parlano senza dire nulla. Quelle immagini sono cosi dolci e rallentate che ho la sensazione di non essere nel mio solito mondo, di essere approdata in un’isola immaginaria, un’isola persa in una dimensione senza tempo, senza cellulari, né pc, senza clacson, né orologi che scandiscono minuti troppo brevi, un’isola fantastica dove tutto è da  inventare e tutto può ancora accadere. Un’isola di mille colori come nei miei disegni di bambina: nuvole bianche in un cielo turchese, colline dalle mille sfumature di verde, l’azzurro delle onde, e la spiaggia … una distesa infininita di sassi bianchi. Cammino incontro al tramonto,  l’orizzonte sembra incendiarsi e dileguarsi in una fiamma arancio. La città brucia in quel tramonto. Un’ultima fiammata, più viva e intensa  delle altre. Lingue di fuoco salgono più in alto delle nuvole.  Un attimo…poi tutto scompare … Nel cielo il mio aquilone azzurro e rosa sta ancora volteggiando libero e inafferrabile come uno splendido uccello colorato. So che il momento sta arrivando: il vento giusto arriva sempre e questa volta non avrò paura di spiccare il volo. Tutto può ancora accadere.


La bambina col cappotto azzurro-cielo
La bambina col cappotto azzurro- cielo@copyright 

martedì 19 marzo 2013

PER I PAPA' CHE NON CI SONO PIU'....PER TUTTI I PAPA'...

Per la Festa del Papà la maestra ci ha fatto fare un portacenere col das, piccolo e rotondo, l’ho colorato di blu con sfumature azzurre, volevo che sembrassero onde invece sembrano nuvolette ma è carino lo stesso. Ho fatto anche il biglietto: un cartoncino azzurro con sopra incollata una sigaretta. Ci ho scritto a caratteri grandi e un pò incerti: PER IL MIO PAPA’.  
Una settimana fa la maestra ci aveva detto che dovevamo fare un posacenere per i nostri papà. Gli altri bambini erano entusiasti, impastavano quella pallina di das tutti frenetici pensando alle facce sorridenti dei loro papà nel riceverlo. Io me ne stavo lì a fissare il das sul banco con una gran voglia di piangere. Mi sono avvicinata alla cattedra facendomi piccola piccola dentro il grembiulino bianco, e ho sussurrato con un filo di voce alla maestra che il mio papà non c'era più e magari potevo fare un disegno o un’altra cosa perché quel posacenere non sapevo a chi darlo. Lei seccata mi ha risposto di  fare il portacenere e di regalarlo a chi mi pareva, a mio nonno o mio zio o mia madre. L’ha detto ad alta voce e alcuni bambini hanno riso. Sono tornata al banco con le lacrime agli occhi e fatto quello stupido portacenere. L’ho regalato a mio nonno che neppure fumava, ma ne è stato molto felice, l’ha messo in bella vista sulla sua scrivania e ha appeso al muro il biglietto  con la sigaretta  come fosse un bel quadro.
Sono cresciuta e ogni tanto ripenso a quel posacenere, a quella stupida maestra, e a quel papà meraviglioso che la vita mi ha portato via tanto presto che nemmeno lo ricordo. Ma ora so, che lui è sempre con me, anche se non può prendermi per mano come facevano gli altri papà dei miei compagni all'uscita dalla scuola, spesso sento che lo fa, e che mi indica la via, quando sto per prendere quella sbagliata.
A tutti i papà, quelli che non ci sono più, a quelli che presto lo saranno, a quelli che hanno la fortuna di accompagnare i figli a scuola tutti i giorni, a quelli che devono aspettare la visita mensile decisa da un giudice, a quelli che lottano per poter vedere i propri figli, a quelli che possono dargli il bacio della buonanotte tutte le sera, a quelli che stasera riceveranno in regalo un posacenere fatto col das..... i migliori auguri per questo 19 marzo, godete di ogni istante con i vostri figli, ogni attimo è un dono.


 La bambina col cappotto azzurro-cielo
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lunedì 18 marzo 2013

SCOMPARIRE NEL BUIO

Ci sono cose che hanno bisogno della luce per essere viste, altre hanno bisogno del buio. Forse se scompaio nel buio, dopo mi vedrai. Sono sempre stata accanto a te: tenace, costante,  persino ridicola nella mia testardaggine di volerti ad ogni costo, contro tutto e tutti, anche contro me stessa e ciò in cui credo. Ma tutta la stanchezza di questi mesi mi sta crollando addosso. Dimmi se tutto quello che ho fatto non è amore e fiducia, cos’è? Ti ho lasciato entrare in tutti i meandri della mia vita ma io ci sono mai entrata nella tua? Almeno come uno spiraglio? Volevo essere parte della tua vita, ma volevo esserci non come un inganno ma qualcosa in cui si crede. Volevo che il fatto di averti vissuto, comportasse qualche differenza nella tua vita, invece mi hai fatto sentire un’ombra che scivola via, senza lasciare traccia di sè....
 Kerry Brooks
C’è una frase di Bradley, recita più o meno così: “Dobbiamo imparare a determinare le nostre rotte sempre secondo le stelle e non in base a ogni nave che passa?” ... Ecco volevo essere la tua stella, il tuo riferimento nella notte, non una nave di passaggio, e volevo un'unica certezza: la tua fiducia. Poterti guardare negli occhi sapendo che tu stai pensando "Io mi fido davvero di questa donna” .... ho lottato mesi con tutte le mie forze, a dispetto di tutti i tuoi dubbi e delle tue incertezze per dimostrarti che potevi fidarti. Non capisco questa tua ansia di rovinare qualcosa di bello, qualcosa che abbiamo atteso così tanto … non sono io a non voler crescere, non io a cambiare sempre idea, non io quella che scappa, non io quella che non vede quel che è evidente.... Un corpo caldo e generoso, sempre pronto ad accoglierti,  un giocattolo, un passatempo, qualcosa di scontato, cosa sono per te? Ora spegno la luce e lascio che il buio mi avvolga.... mi vedi? Non sono più accanto a te, lo senti? Nel buio sono più luminosa che mai mentre mi allontano da te. E' tardi ormai....


 La bambina col cappotto azzurro-cielo
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giovedì 14 marzo 2013

La bambola di Kafka ...

Tutti i pomeriggi Kafka va a fare una passeggiata nel parco. Un giorno incontra una bambina in lacrime che singhiozza da farsi scoppiare il petto. Kafka le chiede cosa c’è che non va e la bambina risponde che ha perso la sua bambola. Lui subito comincia a inventare una storia per spiegarle l’accaduto.
"La tua bambola è andata a fare un giro", le dice. Lei gli chiede: "E tu come lo sai?"
"Perché mi ha scritto una lettera", le risponde Kafka. La bambina sembra sospettosa. "Ce l’hai qui?" Gli domanda,  "No, mi spiace – fa lui – l’ho lasciata a casa per sbaglio, ma domani la porterò con me".
E’ così convincente che  la bambina non sa più cosa pensare. Possibile che quell’uomo misterioso stia dicendo la verità? Kafka torna subito a casa per scrivere la lettera. Si siede a  tavolino e Dora  (la sua compagna), osservandolo mentre scrive, nota la stessa serietà, la stessa tensione che mostra quando sta componendo una sua opera. Non vuole prendere in giro la bambina. Questa è una vera fatica letteraria, e lui è ben deciso a compierla nel migliore dei modi. Se riuscirà a presentare alla bambina una bugia bellissima, e convincente, sostituirà la bambola perduta con una realtà diversa: falsa, forse, ma veritiera e credibile secondo le leggi della narrativa. L’indomani Kafka si precipita al parco con la lettera. La bambina lo sta aspettando, e dato che non ha ancora  imparato a leggere gliela legge lui ad alta voce. La bambola è molto spiacente, ma si è stancata di vivere sempre con le stesse persone. Ha bisogno di muoversi e di vedere il mondo, di fare nuove amicizie. Non è  che non voglia bene alla bambina, però desidera cambiar aria, perciò dovranno separarsi per qualche tempo.  Infine la bambola promette che scriverà alla bambina ogni giorno e la terrà al corrente di quello che sta  facendo. E’ da qui che la storia comincia a farmi venir voglia di piangere. Già è incredibile che Kafka si sia preso il disturbo di scrivere quella prima lettera, ma ora si dedica al progetto di scriverne una nuova  ogni giorno…al solo scopo di consolare la bambina, che fra l’altro per lui è una perfetta estranea, un esserino incontrato per caso un pomeriggio in un parco. Che tipo di uomo fa una cosa simile? Va avanti per tre settimane. Tre settimane. Uno degli scrittori più geniali che siano mai vissuti ha sacrificato il suo tempo, un tempo sempre più scarso e prezioso … per comporre le lettere immaginarie di una bambola smarrita.  Secondo la testimonianza di Dora scriveva ogni frase con una cura maniacale del dettaglio, e la sua prosa era precisa, spiritosa e avvincente. In parole povere, era la prosa di Kafka e lui per tre  settimane andrò tutti i giorni al parco e scrisse ogni volta una nuova lettera alla bambina. La bambola diventa grande, va a scuola, conosce  altre persone. Continua a ripetere alla bambina che le vuole bene, ma allude a certe complicazioni che le rendono impossibile il ritorno. A poco a poco Kafka prepara la bambina per il momento in cui la bambola sparità dalla sua vita per sempre. Si spreme per creare un finale soddisfacente temendo che se non lo troverà si possa rompere l’incantesimo. Dopo aver vagliato alcune ipotesi alla fine decide di far sposare la bambola. Descrive il giovanotto di cui le si innamora, la festa di fidanzamento, le nozze in campagna, perfino la casa dove ora abitano la bambola e suo marito. E poi, nell’ultima riga, la bambola dice addio alla sua vecchia e affezionata amica.
Ma a questo punto naturalmente la bambina non sente più  la mancanza della bambola. Kafka le ha dato in cambio qualcos’altro, e alla fine delle tre settimane le lettere l’hanno guarita dal suo cruccio. Lei ha la storia e quando una persona è abbastanza fortunata da vivere all’interno di una storia, da vivere in un mondo immaginario, i dolori di questo mondo svaniscono. Perché fino a quando la storia continua la realtà non esiste più.





Liberamente tratto da Follie di Brooklyn – Paul Auster
      

lunedì 11 marzo 2013

LUI ERA IL VIAGGIO

Lui era il viaggio ed il viaggiatore.
Lei era il fiume che danzando scende fino ad unirsi al mare.
Lui era vento caldo del Sud che non si ferma mai.
Lei era dolcezza che ti avvolge.
Lui era un enigma di immagini mute.
Lei era musica che fa vibrare i sensi.
Lui era un' inarrestabile pulsione a conoscere, scoprire, succhiare il midollo della vita.
Lei era un'incolmabile, disperato, insaziabile bisogno d'amore.
La vita di lei è un' alternarsi di amore e morte. Ogni volta che ama, lei muore. E di nuovo, ogni volta, torna ad amare. E torna a morire, per quanto ancora?
La vita di lui è una continua partenza. Partenze senza ritorni.Ogni volta un'altra tappa, altri visi, altre persone da conoscere, altre  partenze. Nessun ritorno mai, per quanto ancora?
      
Lui la incontrò in un sogno che sembrava reale. Lei piangeva per un amore perduto, chiusa in un solitario esilio dalla vita. Lui fuggiva senza meta, alla ricerca di qualcosa che non sapeva.
Nel sogno lui poteva sentirne il dolore, la rassegnazione,  il suo pianto era come un mormorio sommesso nel silenzio della notte. Nel sogno lui vedeva il viso pallido di lei nel riflesso della luna, assaporava il sapore salmastro sulle sue labbra, odorava i capelli scompigliati alla brezza marina.  Ma appena provava a sfiorarle il viso lei scompariva e si risvegliava ancora una volta solo.
Rimaneva a lungo nel letto a ripercorrere ogni istante di quel sogno, ripercorreva nella mente strade infinite sulla pelle di lei. Riusciva a vederla nel buio: le sue mani sfioravano i lineamenti del suo corpo come ad accarezzare lievi le corde di una chitarra. Poteva sentire ogni legamento, ogni muscolo, ogni nervo di lei; poteva addentrarsi sotto la sua pelle e sentire il  battito rallentato del suo cuore nel sonno ed addentrarsi ancora più in profondità fin nei suoi sogni, nei suoi ricordi e fin dentro la sua anima.
Lui la sentiva accanto a sé ogni notte in quel letto solitario e ormai averla lì stava diventando un'esigenza del suo corpo. Chiudeva gli occhi sapendo di ritrovarla in quel sogno. E lei c'era sempre dolce e calda, viva, pulsante, si aggrappava al corpo di lui per sopravvivere un'altra notte ancora.
Sembrava che il sogno potesse non finire mai. Lui sentiva che da qualsiasi strada stesse provenendo era là che doveva arrivare. Doveva arrivare in quella casa, in quella città sperduta nel niente, dove lei lo stava aspettando per darsi completamente.
Lei sapeva di essere solo un' altra tappa, sapeva che non si può afferrare il vento. Sarebbe stato un'altra volta morire ma non poteva fare a meno di lui.
Per lui domani ci sarebbe stata un'altra partenza e avrebbe voluto passare oltre  per non farle del male, ma non potè fare a meno di fermarsi in quel sogno pur sapendo che questa volta partire sarebbe stato piu difficile del solito.

Lui era il perimetro, lei era il centro.
Lui era il viaggio, lei era la permanenza.
Lui era senza pace. Lei era il rifugio.
Per lei vivere era amare. Per lui vivere era partire.
      
A volte per qualche breve istante
tutte le anime senza pace trovano un'oasi dove fermarsi,
una stanza calda nel cuore dell'inverno dove riscaldarsi
prima di riprendere il cammino.


La bambina col cappotto azzurro-cielo
La bambina col cappotto azzurro- cielo@copyright 
      

venerdì 8 marzo 2013

Per tutte le violenze consumate su di Lei


Christian Schloe
Per tutte le violenze consumate su di Lei,
per tutte le umiliazioni,
per la sua intelligenza che avete calpestato,
per il suo corpo che avete sfruttato,
per l’ignoranza in cui l’avete lasciata,
per la libertà che le avete negato
per la bocca che le avete imbavagliato
per le ali che le avete tarpato, 
per tutto questo : 
“In piedi, Signori, davanti a una Donna !”

William Shakespeare

giovedì 7 marzo 2013

NON SOLO MIMOSE

8 MARZO Giornata Internazionale della donna, poi ribattezzata Festa della donna dal consumismo recente. Poco importa che sia stata istituita dopo l'incendio avvenuto il 25 marzo 1911 che distrusse la fabbrica Triangle di New York uccidendo 140 persone, in maggioranza giovani operaie, o per ricordare il massiccio movimento di protesta avvenuto a San Pietroburgo, il 23 febbraio 1917 (secondo il calendario  allora vigente in Russia ed equivalente all'8 marzo del nostro calendario gregoriano), che segnò l'inizio delle manifestazioni che portarono al crollo dello zarismo e spinsero il governo provvisorio russo ad accordare il diritto di voto alle donne. In realtà fu solo nel 1975 che durante l'International Women's Year, le Nazioni Unite cominciarono a celebrare l'8 marzo come la Giornata internazionale della donna e, due anni più tardi, l'Assemblea Generale dichiarò che venisse istituito un giorno per i diritti delle donne e per la pace internazionale da ognuno degli stati membri in accordo con la propria storia e le proprie tradizioni. Perché celebrare ancora l'8 marzo? L'Assemblea Generale del 1977 citò almeno due motivi tuttora validi: per riconoscere il fatto che, per assicurare la pace e il progresso sociale e le libertà fondamentali dell'essere umano, è richiesta la partecipazione attiva, l'eguaglianza e l'emancipazione delle donne e per rendere noto il contributo delle donne nella sfida dellla pace e della sicurezza internazionale.
 
In memoria di tutti gli avvenimenti che hanno caratterizzato la lotta per i diritti civili delle donne a partire dalla Rivoluzione Francese in poi, questa giornata dovrebbe essere simbolo di impegno civico per tutte quelle donne nel mondo che ancora patiscono condizioni di sudditanza e di mortificazione fisica e psichica nonché pretesto per riflettere sui traguardi raggiunti e quelli ancora da raggiungere. 
L'ONU ha dichiarato il femminicidio in Italia "crimine di Stato" a causa dell'inadeguatezza e dell'insufficienza delle misure di protezione adottate dalle istituzioni. La violenza maschile è una delle prime cause di morte delle donne in Italia: arretratezza e desiderio di potere maschile ci ammazzano più del cancro e degli incidenti stradali. E contro questo lo Stato fa ben poco sia prima che dopo, in termini di giustizia.  Quindi per questa giornata vorrei non solo mimose ma più tutela, più protezione e più giustizia per le donne vittime di violenza, e più rispetto per tutte le donne. Un rispetto che continui anche il 9 marzo e tutti i giorni successivi...

mercoledì 6 marzo 2013

QUELLE COME ME.....

Illustrazione: Francois Fressinier
Quelle come me che non hanno ancora imparato ad amare nel modo giusto...se poi c'è un modo giusto...
Quelle come me che amano sempre troppo, senza limiti, senza riserve, senza paracadute. 
Quelle come me che amano con la bocca, con l'anima, con ogni centimetro della loro pelle. 
Quelle come me che ci sono sempre, che non si  tirano mai indietro, che vanno sempre avanti  non importa quale sia il prezzo da pagare. 
Quelle come me che sognano ad occhi aperti perchè non hanno smesso di credere nell'amore anche se la realtà la conoscono fin troppo bene...
Quelle come me che è sempre tutto o niente e le mezze misure non esistono, perchè non possono vivere diversamente.
Quelle come me che non sanno mentire, non sanno usare tattiche, non sanno farsi inseguire sanno solo dare... 
Quelle che non me che non chiedono niente in cambio....
Quelle come me che non sanno farsi amare perchè non sanno amare se stesse ... 
Quelle come me ...che ti hanno amano senza che tu neppure te ne accorgessi...
Quelle come me che dimenticherai in fretta in un altro letto,  dopo aver preso tutto ed essertene andato senza voltarti indietro.  
Quelle come me che restano, piangono, soffrono, a volte muoiono un pò ma amano ancora ....

Mony

La bambina col cappotto azzurro-cielo
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A tutte quelle che come me amano troppo dedico questa meravigliosa poesia 
scritta da una donna che più di ogni altra ha saputo descrivere le 
profondità dell'anima.....

Quelle come me
 di Alda Merini

Quelle come me regalano sogni,
anche a costo di rimanerne prive…
Quelle come me donano l’Anima,
perché un’anima da sola è come
una goccia d’acqua nel deserto…
Quelle come me tendono la mano
ed aiutano a rialzarsi, pur correndo il rischio
di cadere a loro volta…
Quelle come me guardano avanti,
anche se il cuore rimane sempre 

qualche passo indietro…
Quelle come me cercano un senso all’esistere e,
quando lo trovano, tentano d’insegnarlo
a chi sta solo sopravvivendo…
Quelle come me quando amano, amano per sempre…
e quando smettono d’amare è solo perché
piccoli frammenti di essere giacciono
inermi nelle mani della vita…
Quelle come me inseguono un sogno…
quello di essere amate per ciò che sono
e non per ciò che si vorrebbe fossero…
Quelle come me girano il mondo
alla ricerca di quei valori che, ormai,
sono caduti nel dimenticatoio dell’anima…

Quelle come me vorrebbero cambiare,
ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo…
Quelle come me urlano in silenzio,
perché la loro voce non si confonda con le lacrime…
Illustrazione: Anne Marie Zilberman
Quelle come me sono quelle cui tu riesci
sempre a spezzare il cuore,
perché sai che ti lasceranno andare,
senza chiederti nulla…
Quelle come me amano troppo, pur sapendo che,
in cambio, non riceveranno altro che briciole…
Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso,
purtroppo,  fondano la loro esistenza…
Quelle come me passano inosservate,
ma sono le uniche che ti ameranno davvero…
Quelle come me sono quelle che,
nell’autunno della tua vita,
rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti
e che tu non hai voluto…

Alda Merini



 

domenica 3 marzo 2013

UNA DONNA FORTUNATA

Ormai era abituata alle botte di Saverio. Aveva imparato a truccarsi con abilità per mascherare i lividi sul viso, a inventare giustificazioni sempre nuove per ingannare gli amici, a curarsi da sola senza dover andare dal medico, anche quando lui ci andava con mano più pesante del solito. In fondo non era colpa di Saverio. Lui lavorava tanto, non si risparmiava e ingoiava bocconi amari in quella squallida officina e lo faceva per lei, per non farle mancare niente. Saverio era proprio un brav’uomo, lo dicevano tutte  le sue amiche che era stata fortunata: un gran lavoratore, un marito premuroso, aveva tutto quello che una donna può desiderare. Non poteva biasimarlo se quando rincasava stanco e nervoso si sfogava come poteva. Lei stava a casa tutto il giorno senza aver altro da fare che occuparsi delle faccende domestiche e ancora non era riuscita ad imparare quelle poche semplici regole che lui pretendeva. Lei cercava di camminare per casa silenziosa come un fantasma e bisbigliava appena quando doveva rivolgergli la parola, cercava di comportarsi da brava moglie ma proprio non le riusciva. Ogni volta combinava qualcosa che lo faceva andare su tutte le furie:  faceva raffreddare la cena o la scaldava troppo,  non comprava la sua marca preferita di birra o lasciava una piega nello stirargli la camicia. Alla fine Saverio chiedeva sempre scusa, si rendeva conto che lei non lo faceva certo apposta a dargli sui nervi, prometteva che domani sarebbe andata meglio e facevano l’amore. Certo non era quel fare all’amore dolce dei primi tempi, ma un po’ frettoloso, in fondo erano sposati da tanto tempo … lui veniva rapido, affondandole in pancia pochi colpi violenti, poi cadeva esausto su di lei e si addormentava senza una parola. Gli era grata di quel silenzio perchè non avrebbe saputo cosa dirgli. Lei non era più bella come i primi tempi, si era trascurata parecchio, ma lui non glielo faceva pesare più di tanto perché l’amava . Saverio le russava accanto, alitando di birra,  lei  cercava di non muoversi e di non respirare per non svegliarlo, facendo mentalmente l’elenco di tutto quel che aveva: un buon marito, una bella casa, una macchina, ecc…e si ripeteva che non le mancava niente, era proprio una donna fortunata. Ogni giorno era uguale a quello precedente, lui le lasciava i soldi contati per la spesa sul tavolo e usciva tranquillo. Lei passava tutto il giorno sperando che Saverio mantenesse la promessa, ma al suo ritorno era il solito rito serale: le  botte, le scuse e il sesso. La sera della vigilia di Natale, lei stava finendo di addobbare l’albero al centro del soggiorno, quando Saverio rincasò. Prese una birra dal frigo e si sdraiò sul divano. Proprio in quel momento una delle palline di vetro le cadde dalle mani e si ruppe, spargendo sul pavimento mille cocci scintillanti. Lei tentò inutilmente di afferrarla, poi con muto terrore alzò gli occhi dai frammenti sul pavimento al volto furioso di lui. Saverio era paonazzo, gli occhi stretti la fissavano con odio, si alzò dal divano lentamente e andò verso di lei serrando i pugni e urlando: "Sei sempre la solita incapace!"  Lei si fece piccola piccola rannicchiandosi sul pavimento, mise le mani sulla testa per proteggersi e rimase lì in silenzio, aspettando quel che sapeva sarebbe arrivato. La furia di Saverio non si fece attendere: la travolse di pugni, calci e sberle in faccia e su tutto il corpo. Lei rimase  muta e rannicchiata sul pavimento con gli occhi chiusi. Sapeva che non sarebbe durato molto, solo pochi minuti, doveva solo stare ferma, trattenere il respiro e aspettare. Così senza emettere un gemito,  rimase lì immobile finchè non perse i sensi.  Quando riaprì gli occhi una bellissima luce bianca l’avvolgeva come un sole abbagliante. Si  sentiva leggera e rilassata, come se stesse fluttuando in una bolla d’aria, non avvertiva più il peso del suo corpo, non sentiva più il dolore e non aveva  paura. Si abbandonò a quella luce lasciandosi cullare dal calore che emanava. Per la prima volta dormì un sonno sereno e popolato di sogni. Sognò i suoi Natali di bambina, intorno all’albero con i suoi fratelli e sorelle e scartare i regali, i baci, le risate, le voci festanti, il calore degli abbracci di sua madre, sognò il sapore dei dolci fatti in casa e i profumi che uscivano dalla cucina la mattina di Natale: lo Zelten con canditi e la pignolata al miele, sognò di lasciarsi  scivolare dentro quella luce abbagliante e non risvegliarsi più da quel dolce sonno. Continuò a sognare e nel sogno rivide il volto severo di suo padre, l’alito pesante di vino dozzinale, i lividi sul viso stanco di sua madre, rivide il matrimonio con Saverio e l’abito bianco macchiato di  sangue per le botte della prima notte di nozze. Vide i volti dei suoi tre bambini mai nati, perchè le botte di Saverio li avevano uccisi nel suo grembo. Lei gli aveva dato un nome e avrebbe potuto esattamente dire come erano i loro visini, il colore dei loro occhi e dei capelli. Aveva immaginato i loro primi passi, i loro pianti per i primi dentini, li aveva  sentiti chiamarla "mamma", a volte si era convinta di vederli per casa, e gli aveva cantato la ninna nanna con tutta la dolcezza del mondo. Si svegliò il pomeriggio di  Natale al suono del plop plop della flebo. Una donna gentile le teneva la mano e le parlava lentamente, promettendole che sarebbe andato tutto bene  e che sarebbe iniziata una nuova vita. Non le prestò attenzione: aveva già sentito quelle promesse tante volte da Saverio. Ma nei giorni successivi si convinse che forse la donna gentile aveva ragione: poteva trovarsi un lavoro, farsi amicizie nuove, una casa nuova, magari un compagno nuovo e anche avere quei figli che tanto desiderava. Era ancora giovane in fondo, e una volta guarite le ferite del corpo e quelle dell’anima nulla le vietava di ricominciare a vivere. Le feste di Natale passarono così in  quella corsia d’ospedale, dove le sue compagne di stanza erano una novantenne in stato vegetativo, e un’altra di età indefinita che stava tutto il giorno seduta davanti alla finestra con un rivolo di bava che le colava dalla bocca. I lividi dal viso cominciavano a sgonfiarsi, il  forzato riposo aveva fatto sparire le borse sotto gli occhi, e la pelle era tornata tesa e liscia. Non aveva più la freschezza di qualche anno fa ma si disse che era ancora una donna passabile. Guardandosi allo specchio non le dispiaceva affatto l’ovale del viso incorniciato dai lunghi capelli neri che di solito teneva sempre legati, ma che in ospedale lasciava sciolti e pettinava spesso, le labbra carnose, la forma un pò allungata dei grandi occhi grigi che le dava quell’aspetto un pò orientale. Sì, forse qualcuno avrebbe ancora potuto trovarla bella. Qualcuno avrebbe potuto ancora amarla. Nessuno della sua famiglia era venuto a trovarla in ospedale, ma d’altronde Saverio aveva preteso che lei  interrompesse i rapporti con tutti dopo il matrimonio. Solo la donna gentile del risveglio veniva ogni giorno, puntuale alle due, e rimaneva con lei tutto il pomeriggio. Prendevano il caffè come vecchie amiche e parlavano del tempo e dei gossip sui divi della tv. Il nome di Saverio non veniva mai pronunciato, ma ogni parola della donna sembrava evocarlo, le  raccontava della nuova vita che le si prospettava con tale entusiasmo e  sicurezza che alla fine finì per convincersi che sarebbe stato davvero così.   Arrivò il giorno delle dimissioni dall’ ospedale. Lei si vestì, si truccò e si pettinò i lunghi capelli lasciandoli sciolti, salutò la compagne di camera che non si mossero dalla loro posizione perchè non potevano sentirla e seguì la donna gentile fino all’uscita dall’ospedale.  Saverio la stava aspettando nel parcheggio con un grande mazzo di rose. Era sobrio ed elegante nel suo completo grigio e indossava la cravatta del matrimonio. La donna gentile le stringeva la mano e la teneva vicino a sè,  Saverio sorrideva e la invitava a seguirlo. Fu un istante, si voltò verso la donna gentile e sorrise "Stavolta andrà bene me lo sento" lasciò la sua mano e andò verso Saverio. La donna cerco di trattenerla, la supplicò, la rincorse, le  promise che aveva una nuova vita davanti. Ma a che le serviva un’altra vita, un’altra casa, un altro uomo? Suo marito era venuto a prenderla perchè l’amava e da oggi in poi le cose sarebbero cambiate. In fondo era una donna fortunata, aveva tutto quel che  si può desiderare.
Una settimana dopo Saverio la picchiò a morte. Ai carabinieri disse che era stato un raptus, che non si era reso conto, che non ricordava nulla.
Lei si chiamava Eleonora, aveva 42 anni e volò in cielo dai suoi tre bambini mai nati.

La storia di Eleonora l'ho inventata ma la realtà spesso è peggiore.
Ogni 2 giorni una donna viene uccisa, e la maggior parte delle volte l'assassino è un ex oppure un marito, un fidanzato, un compagno.
Oltre 14 milioni di donne italiane sono state oggetto di violenza fisica, sessuale o psicologica nel corso della vita e la maggior parte di queste violenze sono ad opera del partner e la grandissima maggioranza non viene denunciata.

Non restiamo in silenzio, mai. 

Tra pochi giorni sarà l'8 marzo, facciamo in modo che sia un giornata per ricordare tutte le donne che ancora lottano per i propri diritti e per liberarsi dalla paura.


La bambina col cappotto azzurro-cielo
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