La
giornata era volata, con una leggerezza che non ricordava da tempo. Quella
mattina lui le aveva scritto su whatsapp “Forse riesco a passare” e quel
“forse” l’aveva fatta attraversare le ore in ufficio come se stesse
fluttuando su una nuvola. Aveva preso il treno al volo ed era corsa a casa a
farsi una doccia e infilarsi qualcosa di carino, una tutina nera aderente senza
biancheria sotto, e con la massa di riccioli ancora bagnata che le gocciolava
lungo la schiena dandole piccoli brividi di fresco, si era rifatta velocemente
il trucco. Era nervosa, elettrizzata e felice e mentre aspettava che quel
“forse” diventasse qualcosa di più preciso, si chiedeva come mai lui le facesse
questo effetto, ogni volta. Erano passati anni eppure ad ogni suo messaggio lei
trasaliva e sperava in un “forse” che rendesse perfetta la fine di una dura
giornata. Quando lui scrisse “Parto ora, arrivo tra 45 minuti” lei si mise
immediatamente ai fornelli. Aveva calcolato i tempi e mentre aspettava aveva
già affettato le cipolle di Tropea. Nonostante i mille trucchi per non
piangere, dal tagliare le cipolle immerse in acqua al tenerle in frigo, alla
fine il risultato erano comunque occhi rossi e lacrime inarrestabili che
le facevano colare il mascara. Dopo aver tamponato il trucco ed essersi rimessa
in ordine, fece andare le cipolle in padella con un filo d’olio, coprì con il
coperchio per farle appassire, poi aggiunse il riso e lo fece tostare per
qualche minuto. Il caldo cominciava a farsi sentire, spalancò la porta del
terrazzo per far entrare in cucina l’aria fresca di quella serata estiva. Nel
frattempo preparava il brodo canticchiando Everglow dei Coldplay con la radio a
tutto volume, aggiunse il vino bianco e lo lasciò evaporare per bene, poi
cominciò ad aggiungere lentamente un mestolo di brodo e poi un altro man mano
che si asciugava. Si muoveva tra i fornelli mescolando, ballando,
aggiungendo e assaggiando, canticchiando felice, gli occhi che non perdevano di
vista l’orologio. Sotto la tutina aderente i seni oscillavano liberi senza
reggiseno, piccole gocce di sudore scivolavano lungo il collo fin sui capezzoli
turgidi e rosa. Era eccitata e impaziente. Quando le sembrò che il riso
fosse quasi a puntino aggiunse dei pezzetti di gorgonzola piccante e altro
brodo, continuando a mescolare, e un’abbondante spolverata di pepe nero…Lui scrisse “ho
posteggiato” e dopo pochi istanti suonò il campanello, lei gli corse incontro
ed aprì la porta. Finalmente era lì, avrebbe voluto abbracciarlo, baciarlo e
portarlo sul divano senza neppure mangiare, ma ostentò un atteggiamento di
cauta indifferenza mentre lui faceva scivolare le mani sul suo sedere e
scherzava con lei. Era arrivato in tempo perfetto per aprire un
Cannonau rosso rubino e profumatissimo e impiattare il risotto. Tra
una chiacchera e l’altra il riso finì, le ciliegie pure…e anche il vino.
Il resto della
serata fu il naturale gettarsi l’uno nella braccia dell’altro, giocare, godere,
lei si lasciò trasportare da lui in un piacere sempre più profondo e sfrenato
che aveva quasi dimenticato esistesse, si sentiva annegare e annaspava, urlava,
gridava, si contorceva e impazziva, lui non le dava un attimo di tregua e
sembrava sapere esattamente quello che lei voleva e non avrebbe smesso finché
non ci fossero arrivati. Sentiva che i suoi buchi si dilatavano sempre di più,
bagnandosi mentre lui la penetrava in ogni modo possibile e non riusciva a fare altro che abbandonarsi seguendo i movimenti del suo corpo, venendo una volta e poi un'altra ancora e
ancora... Lui venne copiosamente e lei leccò avidamente ogni centimetro della sua pelle, adorava il suo sapore e non voleva
perderne neppure una goccia. Rimasero lì nudi, uno sull'altro a parlare al buio
della vita, del sesso e del perché tutto sembri così chiaro col senno di poi, e
di nuovo, senza rendersene conto, ricominciarono a giocare e a darsi piacere.
Lui lasciò che lei strofinasse a lungo il suo senso sul suo membro, era così tanto
che lei non lo sentiva sulla sua pelle che ne era eccitata, inebriata, godeva
nel contatto dei loro corpi nudi e della pelle che si sfiorava ad ogni sussulto
di piacere. Lui la fece venire ancora molte volte e anche lui
venne per la seconda volta, di nuovo lei assaporò ogni goccia di nettare
lasciando che il sapore di lui le riempisse la bocca. Avrebbe continuato a
baciarlo e leccarlo senza smettere mai.... Ritrovava ad ogni carezza quel suo
corpo così solido e familiare, respirava il profumo della sua pelle e si
abbandonava tra le sue mani, con quel modo di toccarla e accarezzarla,
prenderla con forza, che nessun altro uomo sembrava conoscere. Le pareva che la
notte non dovesse finire mai …ma finì… Lei avrebbe voluto dirgli rimani, ma non
lo fece, perché stava imparando che non bisogna cercare di far durare al
infinito le cose belle, bisogna coglierle e viverle, e poi lasciarle scivolare
via….sperando che tornino… e così lei lo viveva con tutta se stessa....
I racconti de
La bambina col cappotto azzurro-cielo
La bambina col cappotto azzurro- cielo@copyright
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