giovedì 15 giugno 2017

RISOTTO DI CIPOLLE DI TROPEA E FANTASIA....



 La giornata era volata, con una leggerezza che non ricordava da tempo. Quella mattina lui le aveva scritto su whatsapp “Forse riesco a passare” e quel “forse” l’aveva fatta attraversare le ore in ufficio come se stesse fluttuando su una nuvola. Aveva preso il treno al volo ed era corsa a casa a farsi una doccia e infilarsi qualcosa di carino, una tutina nera aderente senza biancheria sotto, e con la massa di riccioli ancora bagnata che le gocciolava lungo la schiena dandole piccoli brividi di fresco, si era rifatta velocemente il trucco. Era nervosa, elettrizzata e felice e mentre aspettava che quel “forse” diventasse qualcosa di più preciso, si chiedeva come mai lui le facesse questo effetto, ogni volta. Erano passati anni eppure ad ogni suo messaggio lei trasaliva e sperava in un “forse” che rendesse perfetta la fine di una dura giornata. Quando lui scrisse “Parto ora, arrivo tra 45 minuti” lei si mise immediatamente ai fornelli. Aveva calcolato i tempi e mentre aspettava aveva già affettato le cipolle di Tropea. Nonostante i mille trucchi per non piangere, dal tagliare le cipolle immerse in acqua al tenerle in frigo, alla fine il risultato erano  comunque occhi rossi e lacrime inarrestabili che le facevano colare il mascara. Dopo aver tamponato il trucco ed essersi rimessa in ordine, fece andare le cipolle in padella con un filo d’olio, coprì con il coperchio per farle appassire, poi aggiunse il riso e lo fece tostare per qualche minuto. Il caldo cominciava a farsi sentire, spalancò la porta del terrazzo per far entrare in cucina l’aria fresca di quella serata estiva. Nel frattempo preparava il brodo canticchiando Everglow dei Coldplay con la radio a tutto volume,  aggiunse il vino bianco e lo lasciò evaporare per bene, poi cominciò ad aggiungere lentamente un mestolo di brodo e poi un altro man mano che  si asciugava. Si muoveva tra i fornelli mescolando, ballando, aggiungendo e assaggiando, canticchiando felice, gli occhi che non perdevano di vista l’orologio. Sotto la tutina aderente i seni oscillavano liberi senza reggiseno, piccole gocce di sudore scivolavano lungo il collo fin sui capezzoli turgidi e rosa.  Era eccitata e impaziente. Quando le sembrò che il riso fosse quasi a puntino aggiunse dei pezzetti di gorgonzola piccante e altro brodo,  continuando a mescolare, e un’abbondante spolverata di pepe nero…Lui scrisse “ho posteggiato” e dopo pochi istanti suonò il campanello, lei gli corse incontro ed aprì la porta. Finalmente era lì, avrebbe voluto abbracciarlo, baciarlo e portarlo sul divano senza neppure mangiare, ma ostentò un atteggiamento di cauta indifferenza mentre lui faceva scivolare le mani sul suo sedere e scherzava con lei. Era arrivato  in tempo perfetto per  aprire un Cannonau rosso  rubino e profumatissimo e impiattare il risotto.  Tra una chiacchera e l’altra il riso finì, le ciliegie pure…e anche il vino.




Il resto della serata fu il naturale gettarsi l’uno nella braccia dell’altro, giocare, godere, lei si lasciò trasportare da lui in un piacere sempre più profondo e sfrenato che aveva quasi dimenticato esistesse, si sentiva annegare e annaspava, urlava, gridava, si contorceva e impazziva, lui non le dava un attimo di tregua e sembrava sapere esattamente quello che lei voleva e non avrebbe smesso finché non ci fossero arrivati. Sentiva che i suoi buchi si dilatavano sempre di più, bagnandosi mentre lui la penetrava in ogni modo possibile e non riusciva a fare altro che abbandonarsi seguendo i movimenti del suo corpo, venendo una volta e poi un'altra ancora e ancora... Lui venne copiosamente e lei  leccò avidamente ogni centimetro della sua pelle, adorava il suo sapore e non voleva perderne neppure una goccia. Rimasero lì nudi, uno sull'altro a parlare al buio della vita, del sesso e del perché tutto sembri così chiaro col senno di poi, e di nuovo, senza rendersene conto, ricominciarono a giocare e a darsi piacere. Lui lasciò che lei strofinasse a lungo il suo senso sul suo membro, era così tanto che lei non lo sentiva sulla sua pelle che ne era eccitata, inebriata, godeva nel contatto dei loro corpi nudi e della pelle che si sfiorava ad ogni sussulto di piacere.  Lui  la fece venire ancora molte volte e anche lui venne per la seconda volta, di nuovo lei assaporò ogni goccia di nettare lasciando che il sapore di lui le riempisse la bocca. Avrebbe continuato a baciarlo e leccarlo senza smettere mai.... Ritrovava ad ogni carezza quel suo corpo così solido e familiare, respirava il profumo della sua pelle e si abbandonava tra le sue mani, con quel modo di toccarla e accarezzarla, prenderla con forza, che nessun altro uomo sembrava conoscere. Le pareva che la notte non dovesse finire mai …ma finì… Lei avrebbe voluto dirgli rimani, ma non lo fece, perché stava imparando che non bisogna cercare di far durare al infinito le cose belle, bisogna coglierle e viverle, e poi lasciarle scivolare via….sperando che tornino… e così lei lo viveva con tutta se stessa....


I racconti de
La bambina col cappotto azzurro-cielo
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